Giochi e distanziometro: negata apertura di una sala slot a Bologna, dal Consiglio di Stato no a risarcimento da oltre 658mila euro all'operatore
ROMA - Un operatore di gioco non riceverà alcun risarcimento per la mancata possibilità di aprire una sala slot nel Comune di Bologna.
Lo ha stabilito con una sentenza la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso di una società contro una sentenza del Tar Emilia che, nel 2022, aveva già negato il risarcimento richiesto dalla ricorrente, pari a oltre 658mila euro. La cifra sarebbe stata, secondo l’appellante, il risultato della somma del mancato aggio, dei canoni di locazione e di riparazione pecuniaria per un periodo compreso dal 2014 al 2018.
L’operatore, infatti, aveva avviato le procedure di richiesta per la licenza di somministrazione di giochi nel febbraio 2013. Pur avendo individuato la sede per la futura apertura della sala già nel 2012, però, la ricorrente si è vista annullare la richiesta di licenza.
Secondo il Regolamento di Polizia Urbana di Bologna, infatti, nel 2013 la distanza minima consentita dai luoghi sensibili era di 1000 metri. Tuttavia, la ricorrente sottolinea che “il procedimento necessario per ottenere il cambio di destinazione d’uso del locale ad uso sala giochi si era concluso positivamente nel luglio 2013, l’istanza per ottenere la licenza era stata depositata alla Questura di Bologna ad ottobre 2013 ed il procedimento di pubblica sicurezza si era concluso con il diniego della Questura in data 4 febbraio 2014”. Secondo la ricorrente, dunque, essendosi introdotto il limite distanziale solo nel novembre 2013, “il Comune di Bologna avrebbe dovuto consentire di avviare l’attività di raccolta del gioco nella sala slot nel mese di febbraio 2014 e che tale attività si sarebbe legittimamente protratta, almeno fino alla fine dell’anno 2018, in coincidenza con i tempi della mappatura del territorio da parte del Comune di Bologna”.
Palazzo Spada conviene sull’illegittimità di una misurazione approssimativa e non approfondita dell’Amministrazione comunale nel 2013, ritenendo eccessivo un limite di 1000 metri dai luoghi sensibili e sottolineando come, nel caso in esame, non risulti che il Comune di Bologna abbia adottato valutazioni adatte a “analizzare in modo approfondito l’incidenza delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione ad essa quale distanza di rispetto poteva ritenersi astrattamente adeguata e verificare se una simile distanza fosse misura proporzionata e sostenibile”.
Tuttavia, l’inammissibilità del ricorso è dovuta alla presenza di due istituti scolastici, una chiesa, un polo universitario e un luogo di aggregazione giovanile a una distanza inferiore non solo ai 1000, ma anche ai 500 e ai 300 metri dal locale. “Pertanto, anche se il Comune avesse dettato una disciplina diversa da quella presa in considerazione nel Regolamento di polizia urbana, riducendo la distanza a 500 metri dai luoghi sensibili, o anche a 300 metri, la licenza non avrebbe potuto essere rilasciata”.
I giudici smentiscono anche la possibilità che l’attività avrebbe potuto essere aperta almeno fino al 2018, definendola un’interpretazione formulata “erroneamente”, basata sul principio di deroghe che, in questo caso, non avrebbero potuto essere applicate.