Giochi, dal Consiglio di Stato conferma ai limiti orari di Maratea (PZ): “Rispettano un principio di proporzionalità”
ROMA - I limiti orari imposti dal Comune di Maratea, in provincia di Potenza, sono legittimi e vanno rispettati.
Lo ha stabilito la Quinta Sezione del Consiglio di Stato con una sentenza che ha respinto il ricorso di una società operante nel territorio del Comune.
L’appellante ha impugnato una sentenza del Tar Basilicata del 2020, che a sua volta aveva già rigettato il ricorso contro l’ordinanza del sindaco di Maratea, del 2019. È stato contestato proprio al primo cittadino un eccesso di potere, ma Palazzo Spada ha respinto questa ipotesi, ricordando però che “il sindaco, nell’esercitare il potere per definire gli orari di apertura delle sale da gioco, è tenuto a valutare le posizioni di ciascuno dei soggetti coinvolti, senza impiegare mezzi eccessivi rispetto agli obiettivi perseguiti, ma tenendo comunque in considerazione la prevalenza del bene salute”.
In questo caso, secondo il Collegio, sarebbe stata operata una scelta equilibrata, in quanto “capace di perseguire il proprio obiettivo”: ridurre l’offerta di gioco mediante la riduzione degli orari ma, al contempo, rispettosa del “principio di proporzionalità”.
L’ordinanza comunale, infatti, stabilisce che le fasce orarie 10-13 e 17-22 siano utilizzabili per la somministrazione dell’offerta di gioco, e il Consiglio valuta sufficiente il “limite delle otto ore giornaliere”, che garantisce un “ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare i fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo”.
L’appellante ha espresso il proprio disappunto anche nei confronti della possibilità che, “in caso di violazione delle limitazioni orarie per due volte in un anno solare”, anche se si è già provveduto al pagamento della sanzione pecuniaria, si possa incorrere nella sanzione accessoria della sospensione dell’attività della sala giochi.
Anche questo motivo di ricorso viene respinto dai giudici, che ricordano che un’azione di questo tipo, operata dall’Amministrazione comunale, è legittima se applicata per un tempo “ragionevole, adeguato e idoneo”.